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IL PIATTO EBRAICO DI WERNER JACOBSON DEL 1937.
IL PIATTO EBRAICO DI WERNER JACOBSON DEL 1937.

esposto in vetrina c/o Pro Loco IAT Faenza - Voltone della Molinella 2

fino a domenica 30 gennaio 2022, in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria 2022

Copia (Istituto Ballardini, prof. Rino Casadio, 2010) del piatto realizzato nel 1937 da Werner Jacobson, ebreo tedesco studente alla Regia Scuola di Ceramica, oggi Liceo Artistico Torricelli-Ballardini.
L’originale fu distrutto, probabilmente a tutela della scuola e dello stesso studente, sul quale la Polizia aveva chiesto informazioni ai sensi delle leggi razziali varate nel 1938. L’opera, ricostruita grazie a una fotografia eseguita dai dirigenti scolastici prima della distruzione, possiede evidenti riferimenti biblici e allusioni politico-identitarie nella scritta sul bordo che riporta i primi versi dell’Inno della Speranza, all’epoca canto internazionale della gioventù ebraica.

La biografia di Werner Joachin Jacobson è una storia fortissima.
Nei primi anni ‘30, un giovane studente tedesco di origine e di cultura ebraica, figlio di artigiani, si interessa alla ceramica e decide di alimentare questa sua passione trasferendosi a Vietri sul Mare e frequentando un corso di "arte vasaria".
Vietri sul Mare, raggiunta dopo un avventuroso viaggio in bicicletta e una sosta ad Albisola e a Genova, è una delle città ceramiche più importanti d’Italia e proprio all’inizio del Novecento è stata una meta favorita dagli artisti mitteleuropei, in particolare dai creativi tedeschi.
Dopo una breve esperienza sulla costiera amalfitana, Jacobson decide di fare un passo avanti, inviando una domanda alla Regia Scuola di Ceramica in Faenza, oggi Liceo Artistico Torricelli-Ballardini, per perfezionare i suoi studi nella capitale, anche didattica, della ceramica.
Durante la sua permanenza a Faenza, Jacobson partecipa alla vita della comunità creativa, è uno studente modello, ha grande talento e realizza un piatto straordinario, con un impatto cromatico fortissimo. Sul bordo di questo piatto, decide di scrivere una canzone: i primi versi dell’Inno della speranza, all’epoca canto internazionale della gioventù ebraica che, con la nascita dello stato di Israele, diventerà l’inno ufficiale.
"Fino a che batte un cuore ebraico e vive un'anima ebraica la nostra speranza non si perde".
Nel 1938, con le leggi razziali, la polizia è alla ricerca di cittadini ebraici a Faenza.
Il vicedirettore della scuola, per prima cosa, fa una fotografia al piatto, la deposita negli archivi e il manufatto, che politicamente portava con sé rischi importanti, viene disperso, distrutto.
Il commissariato scopre con facilità della presenza di un ebreo presso l’istituto d’arte e si reca presso la scuola, alla ricerca di Jacobson.
Durante la visita della polizia, la direzione decide di mentire per proteggere il giovane studente, non rivelando alcun dettaglio sulla sua posizione e sostenendo che probabilmente Jacobson ha già abbandonato la città.
Nel 1981, il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza è destinatario di uno scatolone con diverse ceramiche firmate da Werner Joachin Jacobson, in segno di ringraziamento.
Si scoprirà poi, tramite gli studi di Finzi, che Jacobson riesce a salvarsi e a nascondersi in Italia.
Gli studi ci aiuteranno poi a scoprire che l’artista è tra i cittadini ebrei che nel 1940 lasciano Faenza per sbarcare in Palestina.
Dopo la seconda Guerra Mondiale, Jacobson raggiunge il fratello, che aveva già scelto di vivere lì molto tempo prima, a New York, dove aprirà la sua bottega.
È stata, infatti, ritrovata una fotografia sul The New York Times di un ceramista al tornio che, su un marciapiede della Grande Mela, faceva una performance a cielo aperto tra gli stupiti cittadini che passeggiavano.
Ecco, quel ceramista era proprio Werner Joachin Jacobson.
Circa venti anni fa Jacobson è morto e non abbiamo altre tracce di lui.
Nel 2010, il Ballardini ha deciso di realizzare una copia di quel piatto straordinario, poiché la foto era stata archiviata a perpetua memoria di una bellissima storia, una bellissima biografia, un grande ceramista, un artista ebreo che la nostra città ha salvato. (Massimo Isola - Sindaco di Faenza)